venerdì 7 dicembre 2012

La moglie di 007 : RACHEL WEISZ

belle e intelligenti


RACHEL WEISZla moglie di 007
È caleidoscopica, in lei si vorrebbero cogliere i frammenti di donne che vanno dall’appassionata Tessa Quayle di The Constant Gardener alla visionaria Ipazia di Agora, all’intensa Blanche DuBois di Un tram che si chiama desiderio a teatro, ma in realtà ci si trova di fronte una donna dalla bellezza disarmante, gli occhi misteriosi e la risata bassa (un uomo l’apostroferebbe con il termine sexy). Una poco generosa di parole. È una buona attrice che, al contrario di chi soddisfa nella performance pulsioni esibizioniste, dichiara di scomparire dentro ai suoi ruoli. «Mi nascondo, cerco di essere un’altra persona, è la mia forma di fuga. Ci si può annoiare di se stessi, no? È divertente essere qualcun altro, una fantasia. Ci sono forme sane di evasione e altre che lo sono meno, il mio lavoro ne offre tante. Io amo la recitazione, ma i red carpet sono un altro mondo fantasy. Non vado certo a comprare il latte vestita in quel modo, recito un personaggio. Ti fanno il trucco, i capelli, ti mettono addosso un abito e dei gioielli. È pretendere di essere altro, il gioco del “facciamo finta che…».

Nel caleidoscopio c’è anche Marta Shearing, la scienziata che affianca Jeremy Renner (il protagonista, non c’è Matt Damon) nel nuovo The Bourne
Legacy. «Marta è una donna che ama il suo lavoro, segue un progetto finanziato dal governo, ma non si pone le domande che dovrebbe, si troverebbe a riconoscere un compromesso morale». Finirà in una folle corsa, su una moto guidata da Jeremy: «Ero in sua balia, ma mi sono fidata di lui, ero così terrorizzata da non aver bisogno di recitare. Ho amato il livello di realismo del film, non avevo poteri speciali. Tutte le acrobazie sono vere e le emozioni non si possono spiegare, bisogna buttarsi, è come imparare una danza. Ho adorato lavorare con il regista Tony Gilroy. È un artigiano del dialogo, sempre in controllo, ma ama il caos nella recitazione, uno spirito rock’n’roll. Il film è crudo, eccitante, teso, cinetico, pericoloso, sexy». Cinetica e
caotica è anche la sua toccata-e-fuga a Londra, tre ore nel nuovo hotel Bulgari a Knightsbridge prima di riprendere l’aereo per New York. Presenta la campagna della collezione “Serpenti”, realizzata da Annie Leibovitz per il marchio romano di gioielleria e sorride riguardandosi nelle foto.

Può sembrare italiana. «Mia bisnonna lo era. Sono nata a Londra, da genitori non inglesi e io non lo sono nei colori». Madre analista austriaca e padre inventore ungherese. Ispirazione o eredità pesante? L’attrice ride. «Sembra esotico quando uno lo dice così, ma per me sono solo la mamma e il papà». Modella lo era stata a 14 anni, ma i genitori non approvavano: doveva finire gli studi (arriverà la laurea a Cambridge in letteratura inglese). Nelle immagini è irresistibile, una moderna Cleopatra. «Ma non mi suiciderei mai con un’aspide, sceglierei qualcosa di più veloce. Con i serpenti abbiamo un rapporto ambiguo. È iniziato tutto da Eva, la prima a scombinare tutto, a farsi tentare dall’albero della conoscenza. Anche io non avrei resistito, un mondo senza peccato non è realistico ». Intanto gioca con l’orologio firmato, le lussuose spire intorno al polso («adoro i gioielli vintage, questo è nuovo ma mi ricorda quelli degli anni 70»).

Il matrimonio con Daniel Craig lo scorso anno ha colto tutti di sorpresa, dopo la rottura del lungo fidanzamento con il regista Darren Aronofsky. «Ho scelto di fare l’attrice, non di essere una celebrità e non ho grandi problemi a gestire la mia privacy. So che ci sono dei posti dove posso essere fotografata, le première di un film, certi ristoranti a Londra, Parigi e New York. Ma non è stata così dura difendere la mia vita. Forse non sono così interessati a me!». In realtà è brava anche a schivare domande personali. Regina a parte, si rende conto di essere l’unica vera Bond Girl? «Veramente no. Sono soltanto i giornalisti a ricordarmelo! Lui è un grande attore e per me Bond è solo un personaggio che impersona». Inutile cercare di coinvolgerla nell’eterno dibattito su chi sia il miglior Agente 007 di tutti i tempi. «Mio marito, naturalmente, e non soltanto perché è mio marito… Preferisco Daniel a Sean Connery». Una risata chiude l’argomento anche se ammette che «non è stato un colpo di fulmine, siamo stati amici per anni». Cosa è successo dopo che avevano lavorato insieme a teatro nel 1994? Pare che lui abbia sempre avuto un debole per lei e la seconda volta, sul set di Dream House, film di Jim Sheridan con Naomi Watts (uscito in Italia all’inizio di agosto), non se la sia lasciata sfuggire. Ma persino la fede matrimoniale, così sottile, impone pudore romantico. 42 anni è l’età in cui si pensa che certe partite siano quelle giuste? «Lo so che invecchiando si diventa saggi e si accumula esperienza, ma in realtà io penso di sapere ancora meno quello che il destino ha in serbo per me». Vivere in America la pone di fronte a un’attitudine diversa da quella che l’ha formata. «Negli Stati Uniti la gente pensa che il successo sia un diritto. Credo sia il sogno americano, ognuno può farcela, se lavori duro, dimostri quanto l’hai fatto e ne sei orgoglioso. In Inghilterra era quasi imbarazzante essere ambiziosi. Ma forse ora è cambiato anche qui». Iconoclasta e irriverente, in passato ha detto di apprezzare un sana mancanza di rispetto delle regole. Continua a cercare di andare oltre i limiti? «Non lo faccio più per il gusto di essere trasgressiva, ma penso sia importante mettere alla prova l’autorità. Certo, diventare madre ti pone di fronte a qualcuno che a sua volta testa la tua autorità. Lo sto già sperimentando, e Henry (figlio di Aronofsky, ndr) ha solo sei anni!».

Tutti dicono che è smart. Non c’è regista o intervista che non lo rimarchi. Bisogna sottolineare che una bella donna è anche intelligente? Si finge indignata: «È scioccante! Ma sì, arriveremo mai al momento in cui non si dovrà ribadire che una donna attraente è anche sveglia? E perché lo dicono di me? (ride)». Una ricerca uscita in Inghilterra conferma che le donne avrebbero un I.Q. più elevato degli uomini. «Il cervello femminile è davvero diverso da quello maschile. Noi siamo meno orientate a raggiungere l’obiettivo, gli uomini sono più lineari mentre noi misuriamo potere e successo in modo diverso. Ma sfortunatamente il mondo l’hanno organizzato loro. Ci sono più cul de sac nei nostri pensieri, non siamo così dirette. Credo sia un grande errore cercare di eguagliarli, ma non sono sicura di come dovremmo essere». Qual è la sua qualità femminile più marcata? «Non finire quello che sto facendo perché trovo qualcosa di più interessante lungo il percorso, mi distraggo. Ma mi dico anche che talvolta le cose che uno ha intrapreso non necessariamente sono ciò che avrebbe dovuto fare».

Passione e impegno sembrano essere una costante dei suoi personaggi, ma lei davvero è così? «È una parte di me, ma non sto salvando il mondo. Sono totalmente dedicata nella recitazione, ma non salvo la gente come la Tessa di The Constant Gardener. Sarebbe bello riuscire a farlo anche attraverso il cinema». Chissà. Non si sa se 360, il film di Fernando Meirelles già uscito in America, arriverà in Italia, «un piccolo ruolo per ritornare a lavorare con lui». La sua parte non è entrata nel film To the Wonder, che Terrence Malick presenta a Venezia, ma ha già finito di girare Il grande e potente Oz. Nessun altro progetto cinematografico: vuole prendere del tempo per sé. L’orologio-serpente è lì a segnalare che è ora di ritornare a New York. A casa, nell’East Village, dove la sfida anglo-americana tra le spie di The Bourne Legacy e il Craig-Bond di Skyfall, diretto da Sam Mendes (con cui Rachel usciva una vita fa), rimarrà confinata a un mondo fantasmagorico.

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