Le mani dell'ex Kgb
sul cinema: gli 007 veri premiano quelli finti
I servizi segreti russi distribuiscono onorificenze ad
attori e autori e producono film. Per rifarsi l'immagine e orientare i giudizi
su di loro
di
Luciano Gulli
Ai tempi, se uno fosse stato così scemo da
dire al compagno Stalin, scherzando, che un giorno il Kgb avrebbe sponsorizzato film
di spionaggio, racconti polizieschi e thriller, e assegnato perfino degli
Oscar scimmiottando Hollywood: ebbene, il cialtrone di turno avrebbe rimediato
una buona quindicina d'anni di campo di lavoro alla Kolyma, a 50 sotto zero. L'accusa?
Quella classica: disfattismo. Era l'epoca in cui la Russia era l'Urss e i cittadini di Mosca, se proprio dovevano
passare sotto le finestre della Lubjanka, sede del Kgb, lo facevano trottando a
occhi bassi, e affondando la testa fra le spalle, il colletto del cappotto
rialzato. Al tempo delle grandi purghe si partiva da lì, da quel tetro
palazzone di mattoni gialli (dopo aver visto due auto nere che parcheggiavano
sotto casa e sentito il rumore di stivali nel corridoio). E dopo settimane di
spaventosi interrogatori e di torture, non solo psicologiche, si procedeva per
la destinazione finale: la Siberia. Lì, come poi raccontarono Solgenitsin e
Salamov, ad attendere i «nemici dello Stato» c'erano lager, pala e piccone, fame, morte per assideramento, torture,
fucilazioni. Storia passata. Quel palazzo però è sempre lì e anche se il
Kgb oggi si chiama Fsb (è da lì, dai servizi segreti, che viene Putin) ricevere
una telefonata da uno di quegli uffici mette sempre un filino d'inquietudine.
Sicchè, quando lo scorso autunno il regista Karen Shakhnazarov sentì la voce
del centralinista che diceva «qui la Lubjanka», deglutì in automatico un paio
di volte, mentre la memoria gli riportava quel vecchio detto popolare che
diceva così: «Il Palazzo della Lubjanka è il
palazzo più alto di Mosca perché da lì si vede direttamente la Siberia». Lo
cercava un burocrate per annunciargli che aveva vinto un premio. L'Fsb award,
addirittura: quello che a Mosca chiamano «l'Oscar del Kgb». «Se sono stato
contento?» commentò il regista, ridendo a denti stretti. «Sa com'è.
L'istituzione che lo assegna ha una certa influenza...». È dal 2000, dall'anno
in cui Vladimir Putin divenne presidente, che l'Fsb ha messo l'industria del
cinema russo sotto il suo «alto patronato». Sono i gialli, i thriller, le spy
stories la passione dei capataz dell'Fsb. E dal 2006 ecco anche l'«Oscar», che premia attori, registi, sceneggiatori che
più realisticamente (e patriotticamente, s'intende) descrivono i caratteri e le
storie dei personaggi legati ai «servizi» dello Stato. Niente statuetta dorata,
a Mosca. Ma una scultura di vetro con lo stemma dell'Fsb: la spada e lo scudo.
I galà, dice chi c'è stato, non hanno nulla da invidiare a quelli di Hollywood.
Ma bisogna fidarsi sulla parola. Niente paparazzi, alla Lubjanka. E neppure
tappeti rossi, o molesti giornalisti indipendenti. Solo poche centinaia di
persone della Cinecittà moscovita e i pezzi grossi dei servizi segreti. In sé,
la collaborazione tra cinema e «servizi» non è una novità. Ian Fleming, il
creatore di 007, era stato un ufficiale dei servizi di sicurezza della Marina.
E la collaborazione tra gli sceneggiatori e i «professionisti» veri è così
stretta, negli Usa (vedi il recente Zero Dark thirty, che si è avvalso della
collaborazione di molti agenti della Cia) da ispirare un libro che si intitola,
appunto, «La Cia a Hollywood». A
Mosca la faccenda è un po' più comica, e anche più imbarazzante. Perché il
cinema serve a nobilitare il passato del Kgb e il presente dell'Fsb a
prescindere; e a riscrivere -in rosa, naturalmente, a costo di distorcere la
realtà- episodi sanguinosi di un passato recente che hanno avuto i «ragazzi»
dell'Fsb per protagonisti. Ricordate per esempio l'assalto dei terroristi
ceceni che nel 2002 presero in ostaggio gli 850 spettatori di un musical? Finì
in un massacro. Nella trasposizione cinematografica, naturalmente, si salvano
tutti, e i «ragazzi» dell'Fsb sono fortissimi. È la fiction, baby. Ma è dietro
la fiction, come a Hollywood avevano capito già negli anni Trenta, che passa il
messaggio.
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