Oriana Fallaci intervista Connery
Anche la grande giornalista si interessò a James Bond
Sean Connery 007, ovvero il ritorno del divo
di Oriana Fallaci
L’Europeo nr. 9
1965
SE
LA follia collettiva è misura di popolarità, e con la follia il numero delle persone
contuse calpestate ferite, donne piangenti, bambini perduti, costole rotte,
sedie rovesciate, quel che accadde a Parigi per la conferenza stampa e la prima
di Goldfinger dimostrò senza ombra di dubbio che Sean (pronuncia Sciòn) Connery
è oggi il divo più popolare del mondo. Sballottato soffocato compresso Sean
Connery rischiò quella sera una fine prematura, selvaggia: la prova di quanto
può essere stupido il mondo quando si innamora di un mito, in tal caso il
discutibile eroe che ha nome James Bond agente 007, o di chi lo impersona, cioè
lui. Ma chi è lui? Chi è questo Sean Connery per cui perfino mia nonna perde la
testa. Tanto per cominciare, un tipo che dice di no alla regina. Presentavano
un gruppo di attori, giorni or sono, a Sua Maestà Elisabetta: lui fu
naturalmente invitato e rispose «Neanche per sogno, non ho tempo da perdere io,
e poi non mi va». Amici e familiari produttori dovettero supplicarlo perché
cambiasse idea e brontolasse «Ci vado, uffa, accidenti!». lntervistarlo è
praticamente impossibile. Agenti di pubblicità sbiancano in volto o imprecano
se gli chiedi di organizzarti un incontro, poi narrandoti quale martirio sia
lavorare con una simile fiera ti forniscono brevi foglietti dai quali risulta
che la fiera nacque a Edimburgo 34 anni fa, è sposato con Diane Cilento,
l'attrice che ammirammo in Tom Jones, recita di preferenza in teatro, i suoi
cavalli di battaglia sono Macbeth di Shakespeare e Judith di Giraudoux.
Ottimo
tuttavia, anche in Ibsen e Pirandello. «Ma no!». «Ma sì. Lo ignorava? Per
questo l'ingrato si arrabbia a parlar di James Bond». «Si arrabbia?». «Si
infuria. Caso mai lo vedesse, non tenti». «E se tento?». «La picchia». «Mi
picchia? O che è?». «È la più grossa insopportabile inavvicinabile testa di
legno che uno possa conoscere, un maleducato, un bizzoso, e oltretutto un avaro
che in due anni non mi ha mai offerto un bicchiere di birra». Alcuni, mi
spiego, non gli vogliono bene. I più però, gliene vogliono. «La prima cosa da
dire su Sean» esclama Terence Young, il regista che lo diresse nel primo film
della serie, Agente 007 Licenza di uccidere, poi nel secondo, Dalla Russia con
amore, «è che Sean era un attore e un attore dannatamente buono già prima di
diventare una stella del cinema. In Judith era così bravo che uccideva la
commedia. Buona voce, splendida presenza, poi quella speciale virtù che noi
chiamiamo star quality e che io ho trovato solo in un altro, Clark Gable». «Il
giovanotto è certamente fortunato ma si meritava quella fortuna» dice Albert
Broccoli, uno dei due produttori. «A me Sean piacque subito, anche su un piano
umano, per come si comportò al primo incontro. Batteva il pugno sul tavolo e
sapeva quel che voleva. Quando uscì io e Harry Saltzman, l'altro produttore, ci
mettemmo a guardarlo dalla finestra. Insieme osservammo: perbacco, cammina come
James Bond». (...) Il mio incontro con l'idolo avvenne a Parigi dove stava
girando il prologo del prossimo film, Thunderball. Terence Young e l'art
director Ken Adams me lo portarono a cena, per rompere il ghiaccio, e questo
era lui: questo gigante dal volto pieno, tuttavia segnato da rughe profonde
come cicatrici, e gli occhi grandi inermi indifesi. Colpiva anzitutto per
quello. Poi per la mole davvero imponente, drammatizzata da spalle eccessive:
spalle di un uomo che mangia molto beve molto e fa molto l'amore. Infine, ma
questo si capiva più tardi, colpiva per la sua timidezza, una timidezza da
adulto che è scontento di sé e probabilmente è assai solo, assai incerto.
Nessuno, davvero, potrebbe assomigliare a James Bond meno di Sean Connery. La
cena era in un ristorante con la tv, la tv trasmetteva l'incontro dell'Inter
col Glasgow Rangers. Si mise a tifare per la squadra scozzese (sul braccio
destro ha un tatuaggio che dice "Scotland Forever", Scozia per sempre)
e ciò gli servì a prendere tempo, studiarmi, decidere se l'intervista l'avrebbe
fatta sì o no. È diffidente fino allo spasimo. Non avevo rubato, decise, e
l'indomani eccoci lì, col magnetofono. Chiacchierammo a pezzi e bocconi tre
giorni, ora in automobile, ora in albergo, ora nel suo camerino (ha una voce
bellissima, grave e avara), mi stupì ogni volta per la sua insospettata
pazienza, la sua garbata docilità. Il successo che lo sbalordisce, impaurisce,
non ha intaccato per niente queste sue virtù: lo dice anche sua moglie.
«Nessuno immagina quanto Sean sia paziente, docile e buono». Diane Cilento
giunse a Parigi la sera della prima di Goldfinger: piccola, bionda, assai
bella. Una donna che ci si ferma a guardare malgrado il naso rifatto. Quando
Diane e Sean si sposarono, solo due anni fa, la più famosa era lei; oggi la
situazione è rovesciata e Diane la commenta dicendo: «Meglio così. Bond lo
perseguita, è vero, ma Sean ne aveva bisogno del successo: gli fa bene». Stemmo
insieme alcune ore e parlammo. A un certo punto esclamò: «Non so come sia
riuscita a farlo parlare, non è il tipo che si esprime bene a parole o le ama
(...)». A quanto pare questo incontro è davvero eccezionale signor Connery
(...). Giusto. L'ha detto. Detesto parlare di me, mi imbarazza, mi annoia.
Perché uno deve aprire la porta di casa ai giornali? Entrano, giudicano come
vivi o non vivi. D'accordo: sono un attore cui capita d'essere un divo del
cinema, una macchina per fabbricare denaro. E con questo? A maggior ragione
devo rifiutare i compromessi. Stare attento a non perder la testa. Mantenere il
mio equilibrio. Restare un uomo (...). Allora che faccio? Me ne vado? Silenzio.
Stia qui. Tanto la conosco l'immagine che la gente ha di me: quella di un tipo
privo di capacità intellettuali, villano, aggressivo, l'immagine che leggo
spesso sui giornali. Quando leggo simili cose prenderei le teste di chi le ha
scritte e le schiaccerei insieme come due noci(...). Infatti. Il ritratto che
fanno di lei è catastrofico: il minimo che mi aspettassi ad avvicinarla era
trovarmi con un occhio nero alla prima battuta, con il naso rotto alla seconda.
Vogliamo far finta che valga la pena correggerlo (...)? Sono... sono assai meno
interessante di quello che dicono. Sono un uomo semplice: con pochi difetti e
poche virtù. Tra quest'ultime c'è il senso dell'humour, il senso del ridicolo,
il senso del valore del denaro, il senso della morale, il senso della verità:
non dico bugie. Mai. Tra i difetti c'è l'egoismo, anzitutto. Poi il cattivo
carattere: non mi arrabbio facilmente ma, se mi arrabbio, mi arrabbio male. Poi
un poco di vanità, forse: visto che faccio l'attore. Poi molta timidezza. Poi
sono facilmente vulnerabile. Mi farei tagliare la gola prima di dimostrarlo:
però mi si ferisce con nulla. E infine sono ambizioso ma questa per me è una
virtù. E per concludere sono scozzese e questa è la virtù più grossa di tutte.
Sicché è inutile che mi paragonino a James Bond. Bond è inglese e io sono
scozzese. E gli inglesi non mi piacciono affatto perché sono scozzese. Punto. E
Bond... Punto. Non le piace parlarne, lo so. E io, vede, non ho ancora fatto
quel nome. Tra le mille raccomandazioni che ho avuto c'è quella di non citare
James Bond. Mi si dice che al solo udire il nome James Bond lei si arrabbia, si
alza e va via. Be'? Non si arrabbia? Arrabbiarmi? E perché? Perché ho detto
James Bond. Bond. 007. Bond. E va bene: Bond. Non mi vergogno mica dei film di
Bond. Sono divertenti, intelligenti, diventano ogni volta più impegnativi,
migliorano ogni volta di qualità. Per me interpretare James Bond è come
recitare Macbeth a teatro. Non è poi così facile, quel ruolo. (...) E non ebbe
esitazioni, incertezze, prima di dire sì? (...) Era la fortuna, mia cara. E la
fortuna capita una volta sola. M'avrebbero confuso con Bond? Per un attore, per
uno scrittore, esiste sempre il pericolo d'esser confuso col suo personaggio.
Guardi: non esitai un minuto. Anzitutto il contratto era comodissimo: stabiliva
che avrei girato un Bond ogni 14 mesi e ciò mi lasciava tempo per dedicarmi al
teatro, altri film. Il che ho fatto. Nella pausa compresa tra Dalla Russia con
amore e Goldfinger ho girato Marnie, con Hitchcock. Nella pausa compresa tra
Goldfinger e Thunderball ho girato The Hill, con Sidney Lumet. Dopo Thunderball
girerò un film in Australia, insieme a mia moglie. Poi il personaggio di Bond
era divertente, destinato a piacere, infine mi si addiceva fisicamente. Io,
vede, non ho mai avuto una faccia da bello: una faccia accettabile. Ho sempre
avuto questa faccia difficile, da adulto, segnata, ce l' avevo così anche a 16
anni, a 16 anni ne dimostravo già 30, e sfondare senza una faccia da bello è
tutt'altro che facile. Ai produttori dissi soltanto che il personaggio aveva un
difetto, mancava di humour. Ne convennero e vede: Bond è oggi talmente accettato
che perfino i filosofi si scomodano per analizzarlo. Ridendo insomma tutti lo
prendono terribilmente sul serio. E lei, signor Connery? Lo prende sul serio o
ne ride? Se ne ridessi riderei di me stesso. Poi essendo egoista, l'ho detto,
ambizioso, l'ho detto, ho bisogno di pensare che ciò che faccio è importante.
Quindi, Bond è importante. A parte il fatto che è veramente simpatico. Non lo
trova simpatico? Non so, non saprei. Quest' uomo che vince sempre, senza
moralità, né ideali, né amici. Ignorantello per giunta fuorché negli esplosivi,
nelle carte da gioco e nel bere. Scusi, sa: senza offesa. Immorale? Io non gli
ho mai visto rubare la moglie di un altro, o tradire la sua: non ce l' ha. Gli
piaccion le donne ma non le violenta mica: son loro che gli si infilan nel
letto. È ignorantello, va bene, ma non ha mica il tempo di leggere Joyce. Sì,
certo, sarebbe interessante se parlassi male di Bond: ma io non ho proprio
nulla contro il signor Bond e mi dispiace parecchio che debba morire. Morire? È
malato? Non so, non l'ho ancora capito, ma temo di sì. A mio parere è
impossibile che lo si possa tenere in vita più a lungo di un film o due: sono
convinto che Thunderball sia il massimo che possiamo fare per lui (...). Lei è
ormai ricco grazie a Bond, signor Connery. Dicono che sia l'attore più pagato
del mondo (...). Il mio passato è troppo privo di denaro perché non apprezzi il
denaro, il mio presente è troppo privo di illusioni perché respinga il denaro.
Sono nato povero, a nove anni lavoravo già sette giorni su sette, portavo il
latte alle case. Col denaro puoi coltivare i tuoi sogni di indipendenza e di
libertà. Il successo non basta a un uomo e io non ho mai sentito che il talento
si nutrisse di denutrizione. (...) Non per essere indiscreta: ma quanto guadagna?
Duecentomila dollari a film (125 milioni di lire) più il cinque per cento sugli
incassi o 400mila dollari a film se rinuncio agli incassi. No, proprio ricco
non sono: ma lo diventerò se Goldfinger va bene. Per ora, di mio, posseggo solo
la casa dove vivo: un ex convento di quattro piani ad Acton, 20 minuti da
Londra. Terre non ne ho, preferisco investire nella mia compagnia. Automobili,
nemmeno: fuorché una Jaguar di seconda mano. Io vivo con poco. A me hanno detto
che è avaro, lei, signor Connery. (...) Non sono avaro, sono scozzese. Sono
semplice, sono nato e cresciuto in un posto dove ci si accontenta di poco: è
molto diverso. Per esempio, a me non importano molto i vestiti, insomma i
vestiti come quelli di Bond. Non mi va di tenermi incravattato e stirato, come
Bond e come gli inglesi. Uh, gli inglesi!... Se mi vede incravattato e stirato
vuol dire che devo andare in un posto: a teatro, al ristorante, a un
appuntamento di affari. Sto bene a casa, scalzo, con mia moglie, i figlioli,
gli amici che vengono a cena. La domenica ci son sempre amici per casa: mi
diverto a far da mangiare. Vizi ne ho pochi, anzi nessuno: un sigaro dopo
mangiato, qualche bicchiere di birra. (...) Penso alle donne che hanno di lei
una certa idea e... Oh! A quelle non piaccio io, piace James Bond. Dunque
dicevo mi piace la birra: che altro? Personale di servizio ne ho poco: una
segretaria e una nanny per i bambini. L'autista non ce l'ho e non ce l'avrò
mai. Detesto farmi servire. Mi dà vergogna. Mio padre era camionista. Mio fratello
minore, ha otto anni meno di me, fa ancora l' imbianchino a Edimburgo. Vede che
l' avarizia non c'entra, c'entra la semplicità. Vede, perfino le mie passioni
sono semplici: il football. Io veramente volevo essere giocatore di football.
Lo ero del resto: centrattacco nel Manchester United. Ecco una cosa di cui
vorrei mi parlasse, signor Connery. Sean. Sean. Ecco una cosa di cui vorrei mi
parlasse, Sean: come andò che da giocatore di football divenne un attore. (...)
Non ho mai avuto programmi precisi, aspirazioni precise, non mi ha mai spinto
alcun sogno preciso. A parte il football. A 12 anni lasciai la scuola, e da
allora Dio sa i mestieri che ho fatto. Non sopporto la disciplina. A 16 anni
entrai in Marina, quando ne uscii, a 18, divenni lucidatore di bare. Quando mi
capitò questa storia del recitare, lavoravo in un quotidiano di Edimburgo. Da
operaio, si capisce. Mettevo i rulli di carta nelle rotative. Una domenica mi
mandarono a Londra e qui seppi che cercavano gente per la rivista musicale
South Pacific. Mi presentai, tanto che costava, mi presero. Allora lasciai la
tipografia e per due anni cantai, sgambettai come chorus boy in South Pacific.
Avevo 23 anni quando affrontai la scelta calciatore o attore. Scelsi l'attore
pensando che ciò non m'avrebbe impedito di giocare al calcio. Balle. Ho dovuto
ripiegare sul golf. Pero il football è un'altra cosa. Come va l'Inter? Bene,
grazie. E una volta tradito il football per il palcoscenico, si mise a studiare
recitazione? Neanche per sogno. Studiai... Non dico che l'lnter sia una cattiva
squadra, scherziamo, è buonissima: ma è piena di giocatori stranieri, come si
fa a dirla una squadra italiana. Giusto. Cosa studiò, allora? Certo il Glasgow
Rangers è una vera squadra scozzese. Non meritavano di perdere ieri sera con
l'Inter. (...) Allora. Cosa studiò? Nulla, studiai: accidenti! Trovassi mai una
donna con cui si può parlare di calcio. Si intendono di tutto loro, di tutto:
però mai che si intendono un poco di calcio! All' inferno! Nulla studiai.
Studiai un po' di movimenti e di azione con un maestro svedese di Londra, un ex
ballerino del New York City Ballet. E poi presi a leggere. Mi feci una lista di
libri e li lessi. Ulysses di Joyce: Dio, che fatica. À la recherche du temps
perdu di Proust: quello sì che fu una sgobbata. Infatti non lo finii mica. E
poi My Life and Art di Stanislawsky. E poi An Actor Prepared. E poi tutto
Ibsen, tutto. E poi Pirandello. E Shakespeare e tutti insomma. Leggevo in
biblioteca, ci passavo giornate intere. Contemporaneamente andavo a teatro per
vedere come recitavano gli altri e... basta. Basta: se fai questo e lo fai bene
e non sei scemo, vedrai che diventi un attore. E quando lo sei diventato ti
piace tanto che niente ti piace di più: a parte il football. Vede, la gente mi
chiede a volte perché fo l'attore. Be' , non è per i soldi. I soldi si fanno
anche col football. È per la fantasia, per quel doversi mettere nei panni degli
altri. E questo spiega tante cose. Spiega perché anziché contentarsi dei soldi
avendo un sano rispetto pei soldi a un certo punto va ad Oxford per recitar
Pirandello e guadagna solo 25 sterline la settimana. Be', morirei se non
facessi queste cose. Io quando ero sotto contratto con la 20th Century Fox e
non potevo recitare ciò che volevo, stavo per morire. Infatti lo ruppi, il
contratto. Mi chiedevo quali altre cose, a parte il football e la carriera,
possono interessare a un tipo così. Ecco, non so, la politica ad esempio.
Nemmeno un po'. Non ho mai votato dacché sono al mondo. Non sono reazionario e
non sono nemmeno socialista sebbene veda il mondo da un punto di vista
essenzialmente economico: è tutta una questione di soldi, cara mia, di soldi!
Per i lavoratori provo simpatia, si capisce: vengo di lì. Ma non mi sono mai
illuso che sian Gesù Cristi. (...) Allora, Sean, concludiamo con un piccolo
test: i nomi di tre uomini e di tre donne che ammira (...). Il primo è
Krusciov. Quel suo senso dell'humour, quel suo appetito di vita, quel suo
anticonformismo. Il secondo è Stanley Matthews, il giocatore di football. Ha 51
anni e gioca ancora a football. Vorrei essere lui. Il terzo è Picasso: gli
trovo le virtù di Krusciov. Quanto alle donne... strano: sa che non me ne viene
in mente nessuna? Eppure mi piacciono, mi piacciono tanto, le rispetto, le
stimo, le trovo spesso superiori anche agli uomini... be' , dev'essere per
questo. Voglio dire che io, quando mi riferisco alle donne, non riesco mai a
prescindere dal fatto sessuale. Mi spiego? Krusciov non provoca in me desideri
sessuali: con loro (gli uomini, ndr.) non c' è quella piccola complicazione
allarmante. Allarmante, vero? Eh, sì. Allarmante. In realtà le donne io le
trovo così allarmanti, così preoccupanti. Sempre. E sceglierne una che ammiro e
basta... vediamo... sì: Greta Garbo. Facciamo così: facciamo i nomi di altri
due uomini. Uno è Hitchcock e l'altro è Noel Coward. Dopodiché andiamo a berci
una birra.