martedì 30 ottobre 2012

Intervista a Sam Mendes, acclamato regista dell'ultimo 007

QUESTO JAMES BOND SONO IO
di Marco Spagnoli



Dopo Marc Forster è il regista premio Oscar per American Beauty e autore di film come Era mio padre e American Life Sam Mendes a dirigere il nuovo 007, Skyfall. Segno che un approccio non commerciale, ma di carattere più artistico e cinematografico giova ad una franchise importante come quella ispirata dal personaggio creato da Ian Fleming di cui Mendes si dice apertamente essere sempre stato un fan. “Ricordo di avere visto il primo film di 007 a dodici anni, credo fosse Vivi e lascia morire, e ne sono rimasto letteralmente conquistato.” Spiega Mendes “Per questo motivo, quando mi sono avvicinato a questo film, ho voluto rendere questa storia il più personale e rilevante possibile per me stesso. Per un po’ con gli sceneggiatori abbiamo pensato alla storia senza pensare alle donne, alle location glamour e all’azione. Mancando tutti questi elementi restavano aperte una serie di domande: “Qual è la storia? Qual è la reazione di Bond dinanzi a quanto accade?” La cosa che mi rende più orgoglioso è che c’è una vicenda personale in questo film che spinge 007 verso un territorio ancora sconosciuto e tutto da esplorare, dopo avere scoperto qualcosa del suo passato e di rapporti umani di cui non avevamo ancora saputo nulla.”
E’ innegabile, però, che forse ci voleva davvero un autore in senso europeo per fare di Skyfall un film così sorprendente…
L’importante era sfidare James Bond mettendo in mostra la sua fallibilità, la sua debolezza e tutte quelle cose che costituiscono il cuore del film. Dopo avere chiarito tutti questi elementi, è stato facile inserire nuovamente nella trama le ragazze, le location glamour e le scene d’azione. Per farlo, però, devi avere un attore come Daniel che ti permette di fare tutte queste cose, perché non ha alcun problema nel mostrarsi vecchio, stanco, forte e vulnerabile al tempo stesso. Spesso, in passato, arrivavi quasi a dimenticarti di Bond in un film su Bond, perché c’erano così tanti elementi. Invece, noi desideravamo, grazie all’interpretazione di Daniel Craig, riportare il personaggio al centro della trama.
Facendo di un grande film d’azione una storia personale…
Quando ho accettato di girare Skyfall mi sono detto “Voglio fare un film diverso che mi solleciti a realizzare qualcosa dal punto di vista cinematografico che non ho ancora fatto.” Alla fine, invece, ho girato ancora una volta un film personale che ha una storia complessa al suo cuore. Se le cose funzionano, un regista spinge sempre la trama in direzione di un livello subconscio. Skyfall è la storia di un uomo che si è perso e che, ad un certo punto, ritorna nel suo paese e lo trova completamente cambiato. Bond passa il tempo per tornare al centro di quella vita che aveva abbandonato e lo stesso è successo a me dopo sette anni all’estero: sono tornato a vivere a Londra ed ero molto nervoso rispetto allo stabilirmi di nuovo in Gran Bretagna. E’ innegabile che in questa pellicola vi sia una forte eco personale, ma – alla fine tutti i miei film raccontano storie di uomini che si sono persi e che provano a ritrovare la loro strada.
Un ruolo importante in tutto questo lo gioca anche Javier Bardem l’alter ego ‘bizzarro’ di James Bond?
E’ un personaggio molto verbale quello che Javier porta sullo schermo: abbiamo scritto il film pensando a lui e alla sua capacità di interpretare ruoli tanto difficili come questo, ovvero un uomo che dopo essere stato distrutto da quanto ha vissuto ha trascorso la vita a ricostruirsi in attesa di vendetta. Javier non è solo un cattivo, ma un essere umano che ha scelto di diventare qualcuno di ben preciso dopo essere stato ridotto ad uno zero…in questo senso volevamo che il suo personaggio risultasse in parte comico, ma non troppo. La sua caratteristica doveva essere la mancanza di autenticità e l’espressione di un grande artificio…una volta era un agente segreto, poi, è diventato qualcos’altro: un’artefatta ricostruzione di se stesso.
Come si è trovato nel dirigere tante scene d’azione?
E’ divertente scriverle e pianificarle, mentre le riprese sono una noia, perché si tratta di portare a casa tanti piccoli frammenti che, poi, in montaggio, in maniera devo confessare esaltante, troveranno una loro fluidità e velocità. Girarle, però, è davvero noioso. In un film del genere la cosa fondamentale è mantenere vivi il proprio intuito e l’immaginazione. Devi sempre domandarti quello che vuoi vedere davvero sullo schermo e quello che ti piace. La pressione è tale che il rischio concreto è quello di doversi accontentare di quanto hai girato per fare in fretta. A quel punto devi avere i nervi saldi e nonostante nessuno ne abbia voglia, girare di nuovo la scena esattamente come tu la vorresti vedere, poi, al cinema da spettatore.
Quanta pressione ha avvertito?
Moltissima, ma l’unica maniera per dirigere un film come Skyfall è concentrarti su quello che vuoi fare senza dare troppo credito a quello che la gente dice o scrive. E’ vero per qualsiasi film anche se, in questo caso, è ancora più importante, perché ti trovi a vivere una sorta di “assedio”. Al tempo stesso, però, quando giri le scene come quella con l’Aston Martin e senti le note del tema di 007 è come se lasciassi sfrenare dalla gioia il dodicenne che è in te.

Postato Avvenire 2012

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