venerdì 12 ottobre 2012

INTERVISTA al cast di 007

SPETTACOLI - LICENZA DI SCRIVERE

Londra 007:

intervista al cast del nuovo film

Incontro col cast di Skyfall (in sala dal 31 ottobre): poco spazio per le domande e ritmi da catena di montaggio. Una perfetta fabbrica di interviste. Finché non si ha la fortuna di restare bloccati in ascensore con una bond girl.

dal corrispondente di Repubblica ENRICO FRANCESCHINI


LONDRA. Il mio nome non è Bond, James Bond. E allora che ci faccio in questa situazione degna del mitico 007? Che ci faccio chiuso in ascensore con una Bond girl, io in giacca, camicia senza cravatta e jeans; lei in minigonna, scollatura e vertiginosi tacchi a spillo, al quinto piano dell'albergo "dei re", il Claridge's di Londra, dove, secondo una vecchissima storiella non del tutto apocrifa, quando un tizio chiamò il centralino e pretese imperiosamente di parlare "con il re", il centralinista rispose serafico "quale re?", perché ce n'era sempre più d'uno nelle loro camere? Bè, la risposta a entrambe le domande è che sono qui per un junket, come si dice nel gergo del cinema, traduzione letterale: gita, escursione, nel caso specifico una giornata dedicata alla promozione di un film, alle interviste rilasciate da regista e attori ai media di tutto il mondo, in genere per il lancio di un kolossal hollywoodiano. E non c'è kolossal più colossale, bisogna ammetterlo, di un film sull'agente segreto di Sua Maestà, specie se è il 23° della serie, Skyfall (sugli schermi il 31 ottobre), diretto da Sam Mendes, premio Oscar per American Beauty, con il solito Daniel Craig nella parte del protagonista e un cast stellare che include un altro premio Oscar, Javier Bardem, nel ruolo del cattivo di turno; e specie se arriva nel cinquantenario dell'uscita del primo, Dalla Russia con amore (1962). Solo che anche negli alberghi da re e nella perfetta regia di Hollywood ogni tanto qualcosa non funziona: nella fattispecie non funziona l'impeccabile ascensore del Claridge's, completo di divano e addetto in divisa per premere i pulsanti dei piani (mica si può pretendere che li prema una testa coronata o qualcun altro dei vippissimi clienti dell'- hotel). Cosicché, per raggiungere l'ultimo piano, interamente sequestrato per l'occasione dalla produzione della pellicola, vengo dirottato su uno striminzito ascensore di servizio, dove i pulsanti mi tocca premerli da me. E, a un certo punto, l'ascensore si ferma, le porte si aprono, entra Bérénice Marlohe, interprete della nuova Bond girl, le porte si richiudono e l'ascensore si blocca. Guasto anche questo, parrebbe. Con me e Bérénice a millimetri di distanza l'uno dall'altro. Una di quelle rare circostanze in cui la claustrofobia è un piacere. Cosa avrebbe fatto in simili circostanze l'agente 007 è facile immaginarlo. Pur non avendo appena bevuto un Martini (stirred, not shaken, naturalmente), faccio il possibile per immedesimarmi nella parte: "Dove va, vestita così, a ballare per caso?", domando a Bérénice, che invece di commentare, come sarebbe lecito, "che domanda cretina", ride gettando all'indietro la testa, come sanno fare le Bond girl, e poi dice, "magari, in realtà vado nel suo stesso posto". Sarà il computer portatile che mi ha tradito, rivelando la mia identità di giornalista? O, più probabilmente, l'accredito che mi pende dal collo? Come che sia, l'ascensore sul più bello riparte. E, in ogni modo, confesso che non eravamo proprio del tutto soli, io e Bérénice: insieme all'attrice ci sono due severe segretarie di produzione (le star di Hollywood non girano mai sole, perlomeno quando ci sono dei reporter nel raggio di qualche miglio), che non ridono per niente alla mia battuta e, probabilmente, segnano il mio nome in una lista nera per mettermi al bando da tutti i junkets del futuro. È buffo che, quando un giornalista viene invitato a un junket, di solito non racconta nel suo articolo come si svolgono veramente le cose, preferendo dare l'impressione di un tête-à-tête con l'attore o il regista di turno. Peccato, perché invece è una situazione divertentissima, quasi da film comico alla Ridolini, che merita di essere descritta. Immaginate un lungo corridoio con tante porte, su ciascuna delle quali è scritto il nome di un divo. Fuori da ogni porta, tre-quattro seggioline. Sulle seggioline, giornalisti di svariati Paesi del globo. Una frotta di segretarie, dotate di tacchi altissimi, vanno su e giù per i corridoi esaminando un elenco di nomi e mandano a turno i giornalisti dentro le stanze. Ogni intervista con i divi dura, in media, 15 minuti. Fuori uno, dentro l'altro. Sembra il gioco dei quattro cantoni. Il fatto è che i grandi di Hollywood non hanno tempo per autentiche interviste, in particolare con la stampa europea. Così si fa tutto in fretta, tutti insieme, tutto in un giorno. Ma qualcosa, su Skyfall, lo imparo lo stesso. Girato a Londra, in Scozia, a Istanbul e in Cina, sarà più realistico, più artistico e, probabilmente, più bello della maggior parte dei suoi predecessori. Mai un film di 007 è stato diretto da uno del talento di Sam Mendes: "Guardo i film di Bond da quando ero bambino, i produttori mi hanno lasciato libertà totale, abbiamo mantenuto gli effetti speciali, ma li abbiamo resi più credibili dando spessore ai personaggi e alla vicenda" dice il regista. La libertà gliel'ha data il produttore, anzi la produttrice, Barbara Broccoli, figlia del leggendario mogul cinematografico Albert Broccoli, l'italoamericano che cominciò la saga dei film sull'agente segreto tratti dai romanzi di Ian Fleming. E mentre il regista tesse le sue lodi, lei gira per il Claridge's cullandosi i suoi attori come gioielli da conservare e proteggere, ammonendo, eventuali giornalisti, con frasi del tipo: "Questo non si può dire", "Questo non si può chiedere". Ma a pretendere la libertà per il regista è stato soprattutto Daniel Craig, l'attore che ha reinventato 007 nei due film precedenti (Casino royale e Quantum of Solace), un attore vero, non solo un divo, il primo che restituisce a Bond un po' del fascino di Sean Connery e che, ora, non si limita più a recitare: è co-produttore, co-sceneggiatore, quasi co-regista, mette il naso dappertutto, si gira solo alle sue condizioni, alle sue regole, con l'obiettivo di fare di questa serie infinita qualcosa di artisticamente valido, non solo un film da cassetta. "Stavolta volevamo fare un Bond classico, un Bond migliore" racconta Craig. "Mi sono riletto i romanzi di Fleming, ho rivisto i film degli anni Sessanta, era questa l'atmosfera che cercavamo, pensiamo di esserci riusciti". Non a caso per il ruolo del cattivo non hanno scelto un mostro da fumetto, bensì un attore che, facendo il cattivo, ha vinto un Oscar, Javier Bardem, l'assassino di Non è un paese per vecchi, qui con i capelli tinti di biondo e un ghigno spaventoso: "È un onore fare parte di questo cast, è stato Daniel Craig a chiedermelo a un party, forse approfittando del fatto che avevo bevuto troppo, ma sono lieto di avergli detto di sì". Per la parte delle Bond girl sono state prese due girls, non una sola, come è ormai tradizione da un po'. Sono Naomie Harris, attrice di teatro (ha recitato nel Frankenstein di Danny Boyle, il regista premio Oscar che ha diretto la cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi) e di cinema (Pirati dei Caraibi), e Bérénice Marlohe, mezza francese mezza cambogiana, la mia co-inquilina di ascensore di poco fa... Ed eccola qui, ora, a raccontare a gambe accavallate la sua storia, che sembra anch'essa un film: "Facevo la fotomodella a Parigi, volevo fare cinema, ma senza le conoscenze giuste non ti fanno neanche i provini, sono partita per Los Angeles, ho cominciato a mandare in giro le mie foto, i provini li ho fatti, qualche spot pubblicitario anche, poi un giorno mi sono offerta per il cast del nuovo film su 007 e Mendes, incredibilmente, mi ha preso". Succedono solo a Hollywood, cose così? Sarebbe una bella domanda, ma il mio tempo sta per scadere, così ne faccio un'altra, che avevo sulla punta della lingua da quando siamo rimasti bloccati insieme in ascensore: "Are you in love?" Sei innamorata? Bérénice resta interdetta una frazione di secondo, forse sono riuscito a sorprenderla, scuote la testa come sanno fare le Bond girl, ride, poi torna seria e confida: "Sì". Pausa. "Ma lui non lo sa". E mentre assaporo questo scoop, la sua solerte segretaria mi spinge fuori dalla porta, lasciandomi fantasticare sulle ipotesi evocate dalla sua risposta.
 
Postato da Repubblica 12.10.2012

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